Sono al banco e non mi accorgo che la signora accanto preferisce prendere la ricevuta cartacea del prestito. È il mio turno, la bibliotecaria mi chiede se la voglio anch’io ma rispondo “no, meglio non mettere ancora della carta in giro.” La signora accanto si sente come rimproverata dal mio comportamento virtuoso e comincia a scusarsi. “Ho preso la ricevuta perché è comoda” sento dirmi, “mi fa da segnalibro, e poi io comunque faccio sempre la differenziata e riciclo tutto.” Non capisco perché mi sta informando di queste cose ma mi giro verso lei e le dico che “fa bene a riciclare tutto” anche se nella mia mente penso che non me ne frega nulla delle sue piccole azioni quotidiane per migliorare il mondo. Inoltre, non avevo nessuna intenzione di dare il buon esempio. La mia non era una scelta ecologica ma comoda. Questo foglietto svolazzante ogni volta lo accartoccio immediatamente e me lo ficco in tasca a fare massa insieme agli scontrini della spesa. Chissà perché non le butto via subito ste cartacce.
A dire il vero non è neanche per questo che ho detto no. Non mi cambia molto avere o non avere una ricevuta cartacea del prestito. Ho aggiunto la scusa della “carta in giro” solo perché se non do dei motivi alle mie azioni sto male dato che le mie azioni spesso non hanno motivi intrinseci ma sono sempre io a doverglieli dare.
In fine alla signora dico solo un frettoloso “fa bene a riciclare”, poi prendo il libro dal banco (La versione di Barney, Mordecai Richler, Adelphi 2008) e mi dirigo verso l’uscita unendo uno stupido “almeno quello!” al fatto che la signora fa bene a riciclare.
Giuro che non so perché ho detto “almeno quello!”, sul serio, non lo so. Questa mia inutile esclamazione suscita nella signora un meccanismo di difesa che si esprime in un flusso descrittivo e nevrotico delle rette azioni che compie ogni giorno a favore della natura.
“Sa? Noi teniamo dei corsi di riciclo nelle scuole, facciamo la differenziata, differenziamo tutto noi, e con la plastica vengono fuori delle borsettine, delle ciabattine, e degli spettacolini teatrali molto carini, molto graziosi.”
La signora mi insegue. “Poi sono vegetariana da dodici anni ormai, ci manca poco che diventi vegana, amo gli animali”. “Ma se ha le scarpe di pelle!” le faccio io.
Adesso non lo so, giuro che non lo so perché ho detto questa cosa delle scarpe alla signora. Mi è scappato, non volevo ferirla mostrandole per la seconda volta la sua incoerenza, i suoi fallimenti. Subito la signora blocca l’elenco delle sue buone azioni, pianta i piedi per terra inchiodandoli con gli occhi e rimane ferma così, al centro dell’androne, con la testa bassa, a guardarsi le scarpe. Starà immobile in questa posizione per sempre, sembra.
Immagine: William Eggelston
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